Lo studio mira a fare luce sulle fonti di finanziamento dei gruppi analizzati, in particolare alla luce della recente relazione della Corte dei conti europea intitolata «Trasparenza dei finanziamenti dell'UE alle ONG». I risultati evidenziano persistenti lacune in materia di trasparenza e sollevando preoccupazioni circa la tracciabilità e l'utilizzo finale di ingenti flussi finanziari.
Secondo la relazione, mentre i gruppi di interesse industriali, come le associazioni di pescatori e le organizzazioni della catena del valore, presentano generalmente fonti di finanziamento chiare e identificabili, si potrebbe fare di più per migliorare l'accessibilità del pubblico a queste informazioni. Al contrario, numerose ONG ambientali dell'UE mostrano un certo livello di opacità nelle loro strutture finanziarie.
Una delle principali preoccupazioni individuate è l'uso di meccanismi giuridici quali i fondi consigliati dai donatori e i fondi vincolati dai donatori, comunemente utilizzati negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Germania. Questi strumenti consentono l'accumulo e la distribuzione di ingenti somme, spesso centinaia di milioni di dollari, senza rivelarne l'uso finale o i tempi di impiego. Tali strumenti ostacolano la tracciabilità e beneficiano di deroghe fiscali.
Il rapporto sottolinea la difficoltà di identificare non solo l'origine dei finanziamenti per determinate azioni di advocacy, ma anche le motivazioni sottostanti. Mentre gli interessi delle parti interessate del settore della pesca sono ampiamente noti – ricerca della sostenibilità ambientale, economica e sociale per le loro comunità – le reali agende dietro alcuni gruppi di pressione ambientalisti rimangono poco chiare.
Il documento rileva anche che diverse grandi aziende tecnologiche e del settore dei combustibili fossili appaiono come finanziatori indiretti di alcune ONG impegnate nella conservazione. Sebbene apparentemente non abbiano alcun legame con l'ambiente marino, queste aziende hanno spesso interessi che si sovrappongono in ambito oceanico attraverso attività come l'estrazione mineraria in acque profonde. Questo settore, essenziale per l'approvvigionamento dei minerali utilizzati nella produzione high-tech, richiede l'accesso a zone marine tradizionalmente utilizzate per la pesca, creando potenzialmente le condizioni per un conflitto nell'uso delle risorse oceaniche.
In questo contesto, il rapporto avverte che il dibattito non riguarda più solo la trasparenza e la governance. Esso rivela la crescente convergenza tra strategie geopolitiche e interessi economici privati negli spazi marini.
Daniel Voces, amministratore delegato di Europêche, ha dichiarato: “È fondamentale verificare se le donazioni delle principali fondazioni e organizzazioni filantropiche non UE siano vincolate a condizioni, come campagne contro specifici attrezzi da pesca o flotte, o la promozione della creazione di aree marine protette in cui è vietata la pesca. L'UE deve adottare misure di salvaguardia più solide per identificare i veri interessi che si celano dietro tali finanziamenti e garantire che le agende non UE siano riconosciute in modo chiaro e trasparente nel processo decisionale dell'Europa”.